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capitolo xviii. 161


lo stomaco, vomitò le budella sopra il suo padrone, sicchè amendue rimasero molto bene innaffiati. Corse Sancio al suo asino per trarre dalle bisacce con che ripulirsi e medicare il padrone; ma non ritrovandole più fu quasi per dare la volta al cervello. Tornò alle imprecazioni, e propose in cuor suo di abbandonare il padrone, e di ritornarsene al proprio paese, a costo di perdere il salario dovutogli per la servitù prestata, e la speranza del governo dell’isola promessa. Allora si rizzò don Chisciotte, e postasi la mano sinistra alla bocca, perchè non gli uscisse il resto dei denti, prese coll’altra le redini di Ronzinante, che non erasi scostato un punto solo dal suo padrone (tanto era leale e costumato!) e si recò là dove trovavasi il suo scudiero che stava col petto appoggiato al suo asino, e con la mano alla guancia come un uomo assorto in gravi pensieri. Vedendolo don Chisciotte a quella guisa, e immerso nella maggiore tristezza, gli disse: — Sappi, o Sancio, che un uomo non è da più di altro uomo, quando non fa più di un altro: tutte queste burasche che ci intervengono, sono segnali che presto ha da rasserenarsi il cielo, e debbonsi cangiar in bene le cose, poichè non è possibile che il bene ed il male sieno di eterna durata. Laonde poichè il male persiste già da gran tempo, è da credere che sia per cominciare il bene; nè devi dunque accuorarti per le disgrazie che mi succedono, e delle quali tu non sei punto partecipe. — E come no? rispose Sancio; quello che ieri fu trabalzato con la coperta non era il figliuol di mio padre? e le bisacce che adesso mi trovo mancare con tutto quel poco che contenevano, di chi altri erano se non mie? — E che, Sancio, disse don Chisciotte, ti furono tolte le tue bisacce? — E come mi sono state rubate! rispose Sancio. — Dunque, replicò don Chisciotte, oggi non avremo di che mangiare! — E così sarebbe, replicò Sancio, se questi prati non fossero forniti di quelle erbe che vossignoria dice di conoscere, e colle quali si pascono nelle dure necessità i cavalieri erranti sventurati al pari della signoria vostra. — Per altro, rispose don Chisciotte, io adesso gradirei piuttosto un pezzo di pane o di focaccia con due teste di aringhe che quant’erbe descrive Dioscoride, fosse pure quello illustrato dal dottor Laguna. — Pazienza! monta sul tuo asino, Sancio mio buono, e seguimi, chè Dio ci provvederà di ciò che ne abbisogna; e tanto più quantochè ora travagliamo per seguirlo degnamente, non mancando egli di dar cibo alle mosche dell’aria, nè a’ vermicelli della terra, nè al minuto pesce delle acque; ed è sì pietoso che fa risplendere il sole tanto per i buoni quanto per i malvagi, e manda la pioggia per i giusti e per gli empii. — Vossignoria, disse Sancio, sarebbe meglio riuscito a far il predicatore che il cavaliere errante. — Seppero, rispose don Chisciotte, e


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