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144 | don chisciotte. |
una cuffia in capo, con la lucerna accesa e con una ciera da far paura, domandò al suo padrone: — Sarebbe questi, o signore, quel mago moro che torna a ricominciare la zolfa? — Non può essere il Moro costui, rispose don Chisciotte, perchè gl’incantatori sono invisibili. — Se non si fanno vedere, si fanno però sentire, disse Sancio, e lo possono attestar le mie spalle. — Potrebbero farne fede anche le mie, rispose don Chisciotte; ma questo non è indizio bastevole per credere che costui che si vede sia desso„. Intanto si accostò loro il bargello, e trovandoli in sì tranquilla conferenza fra loro ne restò maravigliato. Vero è bensì che don Chisciotte stavasene tuttavia colla bocca all’insù, senza potersi muovere: tanto era pesto e coperto di empiastri! Accostatosi al letto il bargello, gli disse: — Come va, buon galantuomo? — Io parlerei con più rispetto, rispose don Chisciotte, s’io fossi voi: usansi forse in questa terra di tali confidenze co’ cavalieri erranti?„ Sentendosi il bargello maltrattare da un uomo di così trista apparenza, gli venne la mosca al naso, e alzando la lucerna con tutto l’olio che conteneva la scagliò sulla testa del povero don Chisciotte, sfregiandola bruttamente, e poi se ne andò pe’ fatti suoi lasciando tutti all’oscuro. Disse allora Sancio Panza: — Signore, costui, senza dubbio è il Moro; e pare ch’egli custodisca per gli altri il tesoro, e per noi le bastonate e le lucernate. — Così è, rispose don Chisciotte; ma non conviene far caso di questi incantamenti, nè pigliarne collera; perchè essendo invisibili e fantastici non avremmo contro cui vendicarci realmente. Alzati, Sancio, se puoi, e chiama il castellano di questa fortezza, e procura che qui mi si rechi un po’ d’olio, vino, sale e ramerino onde comporre il balsamo salutare, chè in verità credo di averne ora sommo bisogno, perchè mi esce molto sangue dalla ferita riportata da questa fantasima.
Si levò Sancio tutto addolorato nelle ossa, e s’avviò tentone alla camera dell’oste; ed essendosi incontrato nel bargello, che stava ascoltando come la passasse il suo nemico, gli disse: — Signore, chiunque voi siate, fatemi il favore e la grazia di darmi un po’ di ramerino, di olio, di sale e di vino, de’ quali ho necessità per curare uno dei migliori cavalieri erranti che sieno al mondo, il quale giace ferito pericolosamente sopra quel letto per mano dell’incantato moro che trovasi in questa osteria„. Il bargello all’udire queste parole lo tenne per pazzo, e poichè cominciava già a farsi giorno, aprì la porta dell’osteria, e chiamato l’oste, fecegli sapere quanto da quel pover’uomo si domandava. L’oste gli somministrò quanto voleva, e Sancio recò ogni cosa a don Chisciotte, che si tenea la testa fra le mani, lamentandosi del dolore recatogli dalla lucernata, la quale gli avea prodotte due enfiagioni assai rilevanti; ma quello che pensava che fosse sangue non era altro