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tes; e il giudice ordinò ch’egli con tutta la famiglia fosse arrestato; nè bisognarono meno di otto o dieci giorni a somministrare tutte le richieste giustificazioni.
Dopo quest’avventura si crede che il nostro autore nel 1606 seguitasse la corte a Madrid; si conoscono almeno le vie di quella città nelle quali abitò dal 1609 fino al 1616, che fu l’ultimo della sua vita. Povero e dimenticato, mentre altri tanto men degni di lui avevano le onorevoli cariche e le larghe pensioni, attese nel silenzio a’ suoi studi, cominciando da una nuova edizione del Don Chisciotte che servì poi di esemplare a tutte le susseguenti. E già aveva annunziata la seconda parte di quell’opera, quanto, verso la metà dell’anno 1614, un ignoto, che prese il nome di Alonzo Fernandez de Avellaneda, nativo di Tordesilla, lo prevenne, mandando alle stampe una pretesa continuazione del Don Chisciotte. Si crede che il vero autore fosse un Aragonese, frate dell’Ordine dei Predicatori. Questa incredibile audacia ebbe dal Cervantes il suo degno castigo: l’intruso continuatore apparve un miserabile ingegno quando fu pubblicata la vera continuazione nell’ottobre del 1615. Ma l’egregio autore, già vecchio, infelice ed infermo, sopravvisse sol pochi mesi, e morendo il 23 aprile 1616 non potè nè godere la lode dei contemporanei, nè conoscere di quanta gloria si circonderebbe il suo nome nei secoli avvenire.
Il Don Chisciotte tenuto dagli Spagnuoli come un vero modello di stile fu tradotto in tutte le lingue, ed anche spogliato delle bellezze native, trovò da pertutto ed in ogni tempo una costante ammirazione. Come opera di fantasia, è si ricca e si varia, che non cede al confronto di verun’altra. Come opera scritta per conseguire un fine, essa lo ha conseguito sì bene, che i Romanzi di cavalleria contro i quali adoperavansi indarno i moralisti e le leggi, disparvero onninamente. Il Viardot è d’opinione che il Cervantes da prima si fosse proposto solo di deridere la lettura cavalleresca, ma che poi sopra lavoro e principalmente nella seconda parte allargasse il suo disegno a quell’ampiezza a cui lo vediamo condotto. Vi sono molte ragioni per credere che questa opinione sia vera: il certo si è che l’opera del Cervantes, il cui principio promette null’altro che una lettura piacevole od una vivace derisione dei romanzi cavallereschi, abbraccia di poi argomenti di alta importanza, e li tratta con tanta cognizione, assennatezza, evidenza e giovialità, da congiungere in sommo grado l’utilità col diletto, e riuscire gradita ad ogni classe di leggitori.