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140 | don chisciotte. |
quatto al letto di lui per vedere come andavano a finire quelle dicerie ch’egli non poteva ben comprendere; e quando si accorse che la serva faceva ogni sua possa per isvincolarsi, e don Chisciotte si adoperava altrettanto per trattenerla, non piacendogli per niente la burla, inalberò il braccio, e lasciò cadere un pugno sì terribile sopra le scarne ganasce dell’innamorato cavaliere che gli fece insanguinare tutta la bocca; nè contento di questo gli montò sopra le costole e lo pestò bene coi piedi. Il letto, ch’era debole e sopra un fondamento mal fermo, non potendo sostenere l’aggiunta del vetturale, precipitò, e con romore sì forte che svegliò l’oste; il quale inmaginò subito che ciò fosse avvenuto per colpa di Maritorna; massimamente che avendola chiamata ad alta voce non gli avea punto risposto. Si alzò con questo sospetto, e acceso tosto un lume si condusse fin là d’onde era venuto il fracasso. La serva, vedendo il padrone, il quale era uomo bestiale, tutta spaventata e fuori di sè andò a cacciarsi nel letto di Sancio Panza che dormiva, e vi si nicchiò facendosi come in un gomitolo. Entrò l’oste dicendo: — Dove sei, sciagurata? Scommetto che questo strepito è per colpa tua„. Svegliossi Sancio in questo punto, e sentendosi quel gruppo quasi a ridosso, e pensando che fosse qualche folletto, cominciò a mazzicar co’ pugni dall’una parte e dall’altra, cogliendo con non so quanti Maritorna; la quale, vinta dal dolore ne ricambiò Sancio in maniera da fargli perdere il sonno per molte notti. Vedendosi egli trattato a quel modo senza sapere da chi, e alzandosi alla meglio che potè, si accapigliò con Maritorna, e cominciò fra loro la più accanita e graziosa zuffa del mondo. Laonde il vetturale che al lume del candelliere dell’oste vide il mal trattamento della sua bella, lasciato don Chisciotte, corse a prestarle il necessario soccorso; e l’oste fece lo stesso, ma con diversa intenzione, perch’egli vi andò risoluto di gastigare la serva, tenendola indubitatamente per l’autrice di tutto quello scompiglio. E qua, come suol dirsi, il gatto al topo, il topo al gatto, ed il gatto alla corda, e la corda al palo: il vetturale bastonava Sancio, Sancio la serva, la serva lui, l’oste la serva, e tutti menavano così alla presta che non restava un momento di pausa. Fu poi da ridere che all’oste si spense il lume, e rimasti perciò tutti all’oscuro si percuotevano sì pazzamente e alla cieca, che dove giugnevan le mani non restava niente di sano.
Trovavasi a caso in quella notte nell’osteria un bargello di quelli che si chiamano della Santa Hermandada antica di Toledo; il quale, udito quello straordinario fracasso, toltosi l’archibugio, entrò all’oscuro dove infuriava ancora la zuffa, dicendo: — Alto là, alla giustizia! alto là, al bargello di campagna! Il primo in cui incappò fu l’ammaccato don Chisciotte, che giaceva supino e fuori di sentimento sul rovinato