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118 | don chisciotte. |
dalla sommità di quella montagna, appiè della quale si stava scavando la sepoltura, comparve la giovine Marcella adorna di sì grande bellezza da avanzarne di gran lunga la fama. Quelli che fin allora non l’aveano veduta, la stavano osservando con ammirazione e silenzio, e gli altri ch’erano accostumati ad averla sott’occhio, restaron eglino pure sì meravigliati come se la vedessero allora per la prima volta. Ambrogio tosto che la riconobbe, con segni di animo irritato le disse: “Vieni forse a vedere, o fiero basilisco di queste montagne, se al tuo apparire versino sangue le ferite di questo miserabile a cui la tua crudeltà tolse la vita? o ti rechi tu qui ad insuperbirti per la riuscita delle tue detestabili imprese? oppur a bearti, nuovo spietato Nerone, da quell’altura nell’incendio della divampante sua Roma, e a calpestar temeraria questo sfortunato cadavere, come la ingrata figlia quello di Tarquinio suo padre?1 Dichiara, orsù, senza ritardo qual fine qui ti conduce, o quello di cui più ti compiaci; chè sapendo io come Grisostomo non tralasciò mai di obbedirti ciecamente vivendo, farò che anche in morte ti obbediscano quelli che si vantarono d’essergli amici. — Qua non mi conduce, o Ambrogio, veruno dei fini da te immaginati, rispose Marcella, ma la sola mia determinata volontà di far conoscere ad ognuno quanto a torto io sia incolpata della disperazione e della morte di Grisostomo. Prego dunque quanti qui stanno di prestarmi attenzione, chè non mi sarà d’uopo d’impiegare gran tempo, nè di spendere molte parole, a far sì che chiunque ha buon senno si persuada delle verità che esporrò.
“M’impartì il cielo, a detto vostro, bellezza tanto singolare che vi trovate costretti, anche a vostro malgrado, di dovermi amare; e sostenete ch’io perciò sono in dovere di ricambiarvi con altrettanto affetto. Il naturale mio intendimento mi persuade che amabile è tutto il bello, ma non trovo però che ne venga di conseguenza che l’oggetto amato debba amare chi l’ama; e tanto più che potrebbe accadere che l’amatore del bello fosse brutto, ond’è che toccando al brutto d’essere abborrito cade male in acconcio il dire: T’amo perchè seí bella, e tu devi amar me benchè brutto. Ma posto anche il caso che dall’una e dall’altra parte v’abbia uguale bellezza, non è per questo ch’eguale debba essere in ambidue la inclinazione, perchè tutte le bellezze non innamorano, e talune piacciono a vederle, ma non legano la volontà. Che se le bellezze tutte innamo-
- ↑ Tullia fu moglie di Tarquinio e figliuola di Servio Tullio di cui calpestò il cadavere. L’autore scrisse probabilmente questo capitolo mentre era in prigione senza il soccorso de’ suoi libri, e la memoria gli fece inganno.