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4 CANTO


Così conserva la sua castitate
     Pur aspettando, che ’l marito torni;
     Nè resta, che non vengan consumate
     Le cose sue fra tante notti, e giorni.
     Tu sai pur padre, ch’ami la bontate,
     Come i tuoi sacri altar fe sempre adorni
     Delle vittime usate, Ulisse mio,
     È sempre fu religioso, e pio.

Dunque perché sei verso lui sdegnato,
     se dir conviensi, ò sempiterno sire?
     Sappi ò Palla, ch’Ulisse ho sempre amato,
     Giove rispose, e sian lontane l’ire,
     Ch’osservator l’ho sempre ritrovato,
     Del culto mio, quanto si possa dire.
     Seco Nettunno è irato, et odia lui,
     Più che giammai mortale odiasse altrui.

E l’odio à lui fin da quel giorno prese,
     Nè d’altronde maggior prender potea,
     Alhor che qui privo dell’occhio rese
     Polifemo, che solo in fronte havea:
     E di tanto favor gli fu cortese,
     Che se ben navigare ei lo vedea,
     Uccider non lo volse, ò farli guerra,
     Mà sol lo tien lontan dalla sua terra.

Hor voglio ben, che ponga giù lo sdegno
     Nettunno, e lo porrà, voglia, ò non voglia,
     E che ritorni Ulisse nel suo Regno,
     E in tutto da quell’Isola si toglia.
     E perche tu, sei di fiorito ingegno,
     Permetto a te, che questo nodo scioglia:
     À cui più d’altro un tale ufficio lice,
     Che l’hai sì caro, e sì li sei fautrice.

Io sò, diss’ella, che ’l ritorno grato
     Sarà d’Ulisse à tutti quanti i Dei,
     Però che sia da te padre mandato
     Mercurio entro quell’Isola vorrei:
     Che ’l tuo fermo volere, e ’l tuo mandato
     Del ritorno di lui spieghi a colei,
     Che ’ntanto n’andrò in Itaca, e ’l figliuolo
     D’Ulisse ritrarrò d’affanno, e duolo.

Io farò che Telemaco, diletto
     Da me, come figliuol d’un huomo tale
     Ottenga, ch’à malvagi sia interdetto
     Di più seguir in fargli danno, e male:
     E fatto questo così buono effetto,
     Che forse è ’l più importante, e principale,
     In Pilo manderollo, ò in Sparta bella,
     Per intender di lui qualche novella.

Ciò detto havendo, ella dal ciel discese,
     Essendo armata, e havendo un’hasta in mano,
     E di Mente la forma intera prese,
     Ch’era un famoso, e degno Capitano.
     Và in Ithaca, ch’alcun non gliel contese,
     Che ’l contender sarebbe stato vano:
     E con quell’hasta in man si fu fermata
     Del palagio d’Ulisse in sù l’entrata.

E mentre mira, una gran turba vede,
     Ch’eran quei, che cercavan per mogliera
     La bella donna, che con tanta fede
     Serbava à Ulisse castitate intera.
     Vede, che questo, e quel superbo siede
     Nella gran sala, che le nozze spera.
     Poste le mense, e da diverse bande,
     Vede, che s’apprestavan le vivande.

Chi mesce il vino, chi divide e parte
     Le carni, ch’eran rare, et odorate:
     Chi questa cosa, e chi quella comparte,
     In vasi d’oro, e in tazze ricche, e ornate,
     E giunge l’una, quando l’altra parte
     E son più d’una volta replicate;
     E fra costor Thelemaco sedea,
     Guardando pur se ’l padre suo vedea.

Guardava pur, se ’l padre suo vedesse,
     Che giorno, e notte, il giovane bramava;
     Che sgombrar quell’Harpie tosto facesse,
     Onde sua facultà si consumava:
     E con la sua venuta si potesse
     Quetar la madre, ch’ogn’hor sospirava,
     E mentre il suo ritorno aspettar vuole
     Si consumava, come ghiaccio al Sole.