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Io ho cercato di far bene e ho fatto del mio meglio per conseguirlo; non ci sono riuscito come avrei desiderato? E pazienza. Comunque sia, saldo al sublime precetto del venerato Tommasèo — „Agevoli ciascuno secondo il poter suo la conoscenza della lingua comune“ — ho portato anch’io la mia pietra al grande edificio, — sono stato il primo a dare la spinta a questo genere di lavori, — ed ho empito, sia pure insufficientemente, una lacuna nella nostra patria letteratura. Ego plantavi.

Ecco ciò che mi fa forte a dare alla luce questa seconda edizione del mio lavoro, che io pubblico nella fede che i buoni non troveranno assolutamente inutile. In ogni modo a me basta la coscienza di aver cercato in questi dodici anni che sono corsi dalla prima edizione, di purgare il mio libro „da ogni scoria e da ogni eterogeneo elemento“ e ciò nel desiderio vivissimo che al nostro dialetto natio sia rivendicato il primato che gli spetta tra tutti i dialetti italiani.

Và dunque libro mio e che tu possa far accrescere d’un punto solo — se pur ciò è ancora possibile — ne’ cuori della nostra gioventù l’amore alla nostra cara lingua. E tu, benigno lettore, abbiti la promessa ch’io farò del mio lavoro fino al chiudersi degli occhi miei, quanto ripeteva il chiarissimo bibliotecario Iacopo Morelli: „De’ libri bisogna fare come si fa dei figli: non solo metterli al mondo, ma poi averne sempre cura.

TRIESTE, 1889.


IL COMPILATORE.