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mi; ch’ella porterebbe, correndo, un giavellotto, col quale ferirebbe coloro che sarebbero da lei raggiunti. Molti aveano già perduta la vita, alleraquando presentossi Ippomene istruito e favorito da Venere. La Dea avevagli fatto dono di tre pomi d’oro, colti nel giardino dell’Esperidi. Già si dà il segno; Ippomene si slancia il primo nella lizza, e lascia cadere destramente i tre pomi a qualche distanza l’un dall’altro; Atalanta si occupa a raccoglierli; perde del tempo; è vinta, e diviene il premio del vincitore. Poco tempo dopo, entrati amendue in un tempio di Cibele, la lor passione li traviò fino a perdere il rispetto a quel sagro luogo. Furono trasformati l’uno in lione, l’altra in lionessa.

Ati, bel giovine Frigio, che Cilebe amò perdutamene te. Questa Dea gli confidò la cura del suo culto a condizione che non amasse alcuna ninfa. Ati, avendo infranto il suo giuramento, con avere sposata la ninfa Sangaride, Cibele lo punì colla morte della sua rivale; secondo altri, Cibele, per vendicarsi, fece cader l’infelice Ati in tale eccesso di frenesia che si mutilò da se medesimo. Cresciuto vieppiù, il suo furore era egli sul punto di appiccarsi, allorchè la Dea, mossa finalmente da compassione, lo trasformò in pino, albero a lui consagrato.

Atlante, figlio di Giove e di Olimene, era un gigante di una grandezza e di una robustezza straordinaria. Giove lo condannò a sostenere il Cielo sulle sue spalle, in pena di aver egli soccorso i giganti ribellati contro di lui. Atlante, padrone degli Orti Esperidi, che producevano de’ pomi d’oro, essendo stato avver-