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le fedele. Giasone le giurò fedeltà, e Medea preparò tutto ciò ch’era necessario per salvare il suo amante. Ecco ciò ch’egli doveva eseguire: primieramente doveva mettere sotto il giogo due tori, dono di Vulcano, i quali avevano i piedi e le corna di bronzo, e vomitavano vortici di fiamme; attaccarli ad un aratro di diamante, e far loro dissodare quattro jugeri di un campo consagrato a Marte, per seminarvi i denti di un dragone, da cui dovevano nascere uomini armati, che bisognava sterminare sino all’ultimo; uccidere finalmente il mostro, che continuamente sorvegliava il vello d’oro, ed eseguire tutte queste imprese in un sol giorno. Protetto da Medea, Giasone ammansò i tori, poseli sotto il giogo, lavorò il campo, vi seminò i denti del dragone: ed allorchè vide uscirne altrettanti combattenti, lanciò in mezzo di una pietra, inspirando loro un furore così violento che si uccisero l’un l’altro; addormentò il mostro con alcune erbe incantate, e colla magica bevanda datagli da Medea, lo uccise, e portò via il vello d’oro. Compiuta la impresa, Giasone sposò Medea, ed insieme con lei ritornò a Jolco. Gli Argonauti si divisero, e ciascuno ripatriò. Intanto Pelia non si diede veruna premura di restituire a Giasone il trono di suo padre. Medea diede a suo marito il mezzo onde disfarsi di questo nimico. Indusse le figlie di Pelia ad uccidere il loro padre, e a farlo bollire in un tino di rame, dando loro a credere che questo sarebbe un mezzo per ringiovinirlo. Questo delitto però non valse per far ricuperare a Giasone il regno di Jolco; perchè Acasto figlio di Pelia se ne impadronì, e costrinse il suo rivale ad abbandonar la Tessaglia, e a ritirarsi con Me-