fabbrica, il peso e la forza della loro coesione; ma ciò basta forse per l’arte di fabbricare con solidità, commodità ed eleganza? Con quelle cognizioni sole si potrà forse mai somministrare una vera e completa nozione dell’architettura? Posta l’indole dell’economia ossia dell’ordine sociale delle ricchezze si accorgono o no gli economisti che l’idea metafisica del commercio sia immediato sia mediato non basta per formar la nozione del commercio di ragion sociale che in ultimo occupar deve l’economista? Se la politica economia non deve imitare il selvaggio, il quale per cogliere il frutto ne taglia l’albero; ne segue che essa non si dovrà limitare alle sole vedute del tornaconto del castaldo, del fabbricatore e del mercante, ma dovrà volgere in ultimo l’attenzione verso lo scopo costituente la politica economia, e contemperare le idee di modo che ne sorgano nozioni di ordine veramente sociale. Allora lo scrittore avrà compiuto il suo esame, allora avrà ubbidito alla sua missione, allora avrà soddisfatto al suo dovere, perocchè allora ci avrà data la vera politica economica, e non la nuda gretta e particolare teoria del tornaconto individuale. Se insegnando la teoria dei moti celesti taluno si limitasse alla sola forza centripeta che cosa direste voi di siffatta dottrina? Lo stesso avviene nella politica economia col limitarsi all’officina del fabbricatore e al banco del negoziante come pur troppo vien fatto oggidì. Il dogma di produrre il massimo di guadagno col minimo di spesa non diviene dogma economico se non venga contemperato con tutte le vedute sociali. Preso nel senso volgare cioè rispetto al fabbricatore ed al mercante senza aggiunger altro è una vera calamità. Egli non presenta