sare. I suoi occhi trasformavano le cose, ch’esistono, in esseri matematici; la sua immaginazione non tracciava che linee e figure; il suo intelletto, non rivolgea che teoremi geometrici; il suo mondo in somma era tutto matematico. Per lo che la sua mente rivolta in sè stessa, esercitata nelle vie dell’intelletto, versata nelle verità geometriche, di queste e non d’altro prendea senso e diletto: di che venía, ch’egli talora non s’intrattenea delle cose di fuori, e ponea, come vuole Plutarco, non di rado in dimenticanza i bisogni eziandio della vita1. Rideranno forse alcuni nel sentire, che Archimede non curava talora di ungere il suo corpo, o che nell’atto che lo ungea per conforto di sua fantasia segnava linee e figure sul suo corpo medesimo. Ma ciò non dee recar maraviglia a chiunque sa, che la mente nostra quanto più si raccoglie in se stessa, tanto più si aliena da’ sensi. Coloro, che occupati sono in qualche pensiero più e più volte, e non di rado per inezie, divengono astratti dagli uomini, non veggono, non sentono. Archimede adun-
- ↑ Nella vita di Marcello.