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metica de’ Greci, ch’era misera allora, e molto limitata.

Si agitava in quel tempo una quistione sul numero de’ granelli di sabbia, che sparsi si trovano sopra tutta la terra. Pensavano taluni essere un tal numero infinito. Erano altri d’avviso non potersi, ancorchè finito, esprimere in cifre; giacchè la greca notazione non giungea allora che ai soli centomilioni. Archimede, che solea concedere al suo spirito, che era matematico, ricreazioni del pari matematiche, prese parte a quella controversia, e scrivendo il suo Arenario lo indirizzò al giovane Gelone; giacchè la Corte di Siracusa era in que’ dì colta e gentile, e careggiava le arti e le scienze.

Come se quel numero di grani di sabbia fosse stato piccolo per la sua mente, lo aggrandisce oltre misura, e va quel numero cercandone, che capir potea in una sfera, quale è quella del mondo o delle stelle. Allargò così il problema, e questo allargato, immaginò a scioglierlo un sistema, in cui le unità, come avviene nel nostro, van progredendo in una