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tra; e queste grandezze eran tutte finite, tutte rettilinee. Si fermava così sul confine, che le grandezze rettilinee divide dalle curvilinee, e le quantità finite da quelle separa, che nell’infinito si perdono; e quivi stando lanciava ad un’ora da’ due punti opposti, ch’erano i due assurdi, una luce vivissima, che quasi baleno diradava le nebbie, in cui involta si sta ogni grandezza curvilinea. Era, egli è vero, questa luce istantanea, ma splendidissima; gli occhi forte colpiva, ma non li abbagliava; mostrava, non può negarsi, da lungi la misura degli spazj curvilinei, ma così chiara innanzi la parava, come se da vicino e fisamente si fosse riguardata e contemplata. Niuno dei geometri innanzi a lui fermo tenendo il piede tra le quantità finite era mai giunto ad apprezzare le grandezze curvilinee; fu Archimede il primo, che ne scoprì la scala e le misure, e fu da Siracusa, che e queste, e quella ricevette Alessandria regia allora e metropoli della geometria.
Ma questo metodo quanto studio, quanto ingegno non volea per mandarsi ad effetto!