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e degli armati. Ma questo uomo, Siciliani, fu nostro, nacque sul nostro suolo, visse sotto questo cielo. La prima volta che mi avvicinai a Siracusa, mi balzava il cuore nel petto ricordando che questa terra famosa per tante vetuste memorie era stata calcata da Archimede, guardando il mare ed il porto, in cui erano state atterrite e respinte le navi romane, e sulle sponde dell’Anapo mirando il papiro, pianta che avea le foglie apprestato, sulle quali aveva scritto Archimede. Saranno dunque vane per noi tante gloriose ricordanze? Sarà dunque vana per noi la memoria di un uomo, che è stato ornamento e decoro non che di Sicilia, ma della terra? Imitiamone le virtù, gli studj, occupandoci con assiduità delle severe scienze, onore e delizia dell’umano intelletto, mostriamo, che gl’ingegni siciliani non sono ancora spenti, e che nella bella Trinacria, la quale è stata sempre ferace di valenti uomini, possono anche ora nascere degli Archimedi.