per questo d’insistere nella pertinacia loro di promulgare la legge Terentilla; dicendo che quello
insulto era fittizio e non vero, uscì fuori del Senato un Publio Rubezio, cittadino grave e di autorità, con parole parte amorevoli, parte minaccianti, mostrandogli i pericoli della città, e la intempestiva domanda loro, tanto che ei costrinse
la Plebe a giurare di non si partire dalla voglia
del Consolo. Ondechè la Plebe ubbidiente, per
forza ricuperò il Campidoglio; ma essendo in tale
espugnazione morto Publio Valerio Consolo, subito fu rifatto Consolo Tito Quinzio, il quale per
non lasciare riposare la Plebe, nè darle spazio a
ripensare alla legge Terentilla, le comandò si uscisse
di Roma per andare contra i Volsci, dicendo che
per quel giuramento aveva fatto di non abbandonare il Consolo, era obbligata a seguirlo; a che i
Tribuni si opponevano, dicendo, come quel giuramento s’era dato al Consolo morto, e non a lui.
Nondimeno Tito Livio mostra, come la Plebe per
paura della Religione volle più presto ubbidire al
Consolo, che credere a’ Tribuni, dicendo in favore
della antica Religione queste parole: Nondum haec, quae nunc tenet saeculum, negligentia Derim venerat, nec interpretando sibi quisque jusjurandum et leges aptas faciebat. Per la qual cosa dubitando
i Tribuni di non perdere allora tutta la loro libertà
sì accordarono col Consolo di stare alla ubbidienza di quello, e che per un anno non sì ragionasse
della legge Terentilla, ed i Consoli per un anno