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che stava parato e intento a quello che egli aveva in animo di fare, con una battaglia di cinquemila fanti e tremila cavagli gli assaltò; né dette loro tempo a uscire tutti fuora delle acque, che fu alle mani con loro, e mille fanti espediti mandò su per la riva dalla parte di sotto d’Arno e mille di sopra. Erano e’ fanti de’ Fiorentini aggravati dalle acque e dalle armi, né avevano tutti superato la grotta del fiume. I cavagli, passati che ne furono alquanti, per avere rotto el fondo d’Arno, ferono il passo agli altri difficile; perché, trovando il passo sfondato, molti rimboccavano addosso al padrone; molti si ficcavano talmente nel fango che non si potevano ritirare. Onde veggendo i capitani fiorentini la difficultà del passare da quella parte, li feciono ritirare più alti su per il fiume, per trovare il fondo non guasto e la grotta più benigna che gli ricevessi. Ai quali si opponevano quegli fanti che Castruccio aveva su per la grotta mandati; i quali armati alla leggiera con rotelle e dardi di galea in mano, con grida grandi, nella fronte e nel petto gli ferivano: tale che i cavagli dalle ferite e dalle grida sbigottiti, non volendo passare avanti, addosso l’uno all’altro si rimboccavano. La zuffa intra quegli di Castruccio e quegli che erano passati fu aspra e terribile; e da ogni parte ne cadeva assai; e ciascuno s’ingegnava con quanta più forza poteva di superare l’altro. Quegli di Castruccio gli volevono rituffare nel fiume; i Fiorentini gli volevono spignere, per dare luogo agli altri