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legione intera per volta, ed una città; e di confinare otto o diecimila uomini con condizioni istraordinarie, da non essere osservate da uno solo, non che da tanti: come intervenne a quelli soldati che infelicemente avevano combattuto a Canne; i quali confinò in Sicilia, ed impose loro che non albergassono in terra, e che mangiassono ritti.
Ma di tutte le altre esecuzioni era terribile il decimare gli eserciti, dove a sorte, di tutto uno esercito, era morto di ogni dieci uno. Né si poteva, a gastigare una moltitudine, trovare più spaventevole punizione di questa. Perché quando una moltitudine erra, dove non sia l’autore certo, tutti non si possono gastigare, per essere troppi; punirne parte, e parte lasciarne impuniti, si farebbe torto a quegli che si punissono, e gli impuniti arebbono animo di errare un’altra volta. Ma ammazzandone la decima parte a sorte, quando tutti lo meritano, chi è punito si duole della sorte, chi non è punito ha paura che un’altra volta non tocchi a lui, e guardasi da errare.
Furono punite, adunque, le venefiche e le baccanali, secondo che meritavano i peccati loro. E benché questi morbi in una republica faccino cattivi effetti, non sono a morte, perché sempre quasi si ha tempo a correggergli: ma non si ha già tempo in quelli che riguardano lo stato, i quali, se non sono da uno prudente corretti, rovinano la città.
Erano in Roma, per la liberalità che i Romani usavano di donare la civiltà a’ forestieri, nate tante genti nuove, che le cominciavano avere