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libro terzo 213

cosa, ch’essendo di poco momento, possa fare cattivi effetti nel suo esercito: perchè cominciare una zuffa dove non si operino tutte le forze e vi si arrischi tutta la fortuna, è cosa al tutto temeraria; come io dissi di sopra, quando io dannai il guardare de’ passi.

Dall’altra parte, io considero come i capitani savi, quando vengono allo incontro d’uno nuovo nimico, e ch’e’ sia riputato, ei sono necessitati, prima che venghino alla giornata, fare provare, con leggieri zuffe, ai loro soldati, tali nimici; acciocchè, cominciandogli a conoscere e maneggiare, perdino quel terrore che la fama e la riputazione aveva dato loro. E questa parte in uno capitano è importantissima; perchè ella ha in sè quasi una necessità che ti costringe a farla, parendoti andare ad una manifesta perdita, sanza avere prima fatto, con piccole isperienze, di tôrre ai tuoi soldati quello terrore che la riputazione del nimico aveva messo negli animi loro.

Fu Valerio Corvino mandato dai Romani con gli eserciti contro ai Sanniti nuovi inimici, e che per lo addietro mai non avevano provate l’armi l’uno dell’altro, dove dice Tito Livio, che Valerio fece fare ai Romani con i Sanniti alcune leggieri zuffe «ne eos novum bellum, ne novus hostis terreret». Nondimeno è pericolo gravissimo, che, restando i tuoi soldati in quelle battaglie vinti, la paura e la viltà non cresca loro, e ne conseguitino contrari effetti a’ disegni tuoi: cioè, che tu gli sbigottisca, avendo disegnato di assicurargli: tanto che questa è una di quelle cose che