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frutto fecero i capitani romani che si facevano amare dagli eserciti, e che con ossequio gli maneggiavano, che quegli che si facevano istraordinariamente temere; se già e’ non erano accompagnati da una eccessiva virtù, come fu Manlio Torquato. Ma chi comanda a’ sudditi, de’ quali ragiona Cornelio, acciocché non doventino insolenti, e che per troppa tua facilità non ti calpestino, debbe volgersi più tosto alla pena che all’ossequio. Ma questa anche debbe essere in modo moderata, che si fugga l’odio; perché farsi odiare non tornò mai bene ad alcuno principe. Il modo del fuggirlo è lasciare stare la roba de’ sudditi: perché del sangue, quando non vi sia sotto ascosa la rapina, nessuno principe ne è desideroso, se non necessitato, e questa necessità viene rade volte; ma, sendovi mescolata la rapina viene sempre, né mancano mai le cagioni ed il desiderio di spargerlo; come in altro trattato sopra questa materia si è largamente discorso. Meritò adunque, più laude Quinzio che Appio, e la sentenza di Cornelio, dentro ai termini suoi, e non ne’ casi osservati di Appio, merita d’essere approvata.

E perché noi abbiamo parlato della pena e dell’ossequio non mi pare superfluo mostrare, come uno esemplo di umanità poté appresso i Falisci più che l’armi.