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come, mentre la necessità costrinse i Veienti a combattere, e’ combatterono ferocissimamente; ma quando viddero aperta la via, pensarono più a fuggire che a combattere.

Erano entrati i Volsci e gli Equi con gli eserciti loro ne’ confini romani. Mandossi loro allo incontro i Consoli. Talché, nel travagliare la zuffa, lo esercito de’ Volsci, del quale era capo Vezio Messio, si trovò, ad un tratto, rinchiuso intra gli steccati suoi, occupati dai Romani, e l’altro esercito romano; e veggendo come gli bisognava o morire o farsi la via con il ferro, disse a’ suoi soldati queste parole: «Ite mecum; non murus nec vallum, armati armatis obstant; virtute pares, quae ultimum ac maximum telum est, necessitate superiores estis». Sì che questa necessità è chiamata da Tito Livio «ultimum ac maximum telum». Cammillo, prudentissimo di tutti i capitani romani, sendo già dentro nella città de’ Veienti con il suo esercito, per facilitare il pigliare quella, e tôrre ai nimici una ultima necessità di difendersi, comandò, in modo che i Veienti udirono, che nessuno offendessi quegli che fussono disarmati; talché, gittate l’armi in terra, si prese quella città quasi sanza sangue. Il quale modo fu dipoi da molti capitani osservato.