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di quelle cose che dagli antichi erano stimate assai. Ed è nato questo inconveniente, perché le republiche ed i principi hanno imposta questa cura ad altrui; e per fuggire i pericoli si sono discostati da questo esercizio: e se pure si vede qualche volta uno re de’ tempi nostri andare in persona, non si crede, però, che da lui nasca altri modi che meritino più laude. Perché quello esercizio, quando pure lo fanno, lo fanno a pompa, e non per alcuna altra laudabile cagione. Pure, questi fanno minori errori rivedendo i loro eserciti qualche volta in viso, tenendo a presso di loro il titolo dello imperio, che non fanno le republiche, e massime le italiane; le quali, fidandosi d’altrui, né s’intendendo in alcuna cosa di quello che appartenga alla guerra; e, dall’altro canto, volendo, per parere d’essere loro il principe, deliberarne, fanno in tale deliberazione mille errori. E benché di alcuno ne abbi discorso altrove, voglio al presente non ne tacere uno importantissimo. Quando questi principi oziosi, o republiche effeminate, mandono fuora uno loro capitano, la più savia commissione che paia loro dargli, è quando gl’impongono che per alcuno modo venga a giornata, anzi, sopra ogni cosa, si guardi dalla zuffa; e parendo loro, in questo, imitare la prudenza di Fabio Massimo, che, differendo il combattere, salvò lo stato ai Romani, non intendono che, la maggiore parte delle volte, questa commissione è nulla o è dannosa. Per che