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diversi paesi: perché la è cosa tanto discosto da il ragionevole che altro che questa autorità non me lo farebbe credere.

Congiurorono certi giovani ateniesi contro a Diocle ed Ippia, tiranni di Atene. Ammazzarono Diocle ed Ippia, che rimase, lo vendicò. Chione e Leonide eraclensi e discepoli di Platone, congiurarono contro a Clearco e Satiro, tiranni; ammazzarono Clearco; e Satiro, che restò vivo, lo vendicò. Ai Pazzi, più volte da noi allegati, non successe di ammazzare se non Giuliano. In modo che di simili congiure contro a più capi, se ne debbe astenere ciascuno, perché non si fa bene né a sé né alla patria né ad alcuno: anzi quelli che rimangono, diventono più insopportabili e più acerbi; come sa Firenze, Atene ed Eraclea, state da me preallegate. È vero che la congiura che Pelopida fece per liberare Tebe sua patria, ebbe tutte le difficultà: nondimeno ebbe felicissimo fine; perché Pelopida non solamente congiurò contro a due tiranni, ma contro a dieci, non solamente non era confidente e non gli era facile la entrata a e’ tiranni, ma era ribello: nondimanco ei poté venire in Tebe, ammazzare i tiranni, e liberare la patria. Pure nondimanco fece tutto, con l’aiuto d’uno Carione, consigliere de’ tiranni, dal quale ebbe l’entrata facile alla esecuzione sua. Non sia alcuno, nondimanco, che pigli lo esemplo da costui: perché come ella fu impresa impossibile, e cosa maravigliosa a riuscire, così fu, ed è tenuta dagli scrittori, i quali la celebrano,