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congiura, portarono pena di quello male che potettono e non vollono fare. Congiurarono contro a Alfonso, duca di Ferrara, due sui frategli, ed usarono mezzano Giannes, prete e cantore del duca; il quale più volte, a loro richiesta, condusse il duca fra loro, talché gli avevano arbitrio d’ammazzarlo: nondimeno, mai nessuno di loro non ardì di farlo; tanto che, scoperti, portarono la pena della cattività e poca prudenza loro. Questa negligenza non potette nascere da altro, se non che convenne o che la presenza gli sbigottisse o che qualche umanità del principe gli umiliasse. Nasce in tali esecuzioni inconveniente o errore per poca prudenza o per poco animo; perché l’una e l’altra di queste due cose ti invasa, e portato da quella confusione di cervello ti fa dire e fare quello che tu non debbi.

E che gli uomini invasino e si confondino, non lo può meglio dimostrare Tito Livio quando discrive di Alessameno etolo, quando ei volle ammazzare Nabide spartano, di che abbiamo di sopra parlato; che, venuto il tempo della esecuzione, scoperto che egli ebbe ai suoi quello che si aveva a fare, dice Tito Livio queste parole: «Collegit et ipse animum, confusum tantae cogitatione rei». Perché gli è impossibile che alcuno, ancora che di animo fermo, ed uso alla morte degli uomini e adoperare il ferro, non si confunda. Però si debba eleggere uomini isperimentati in tali maneggi, ed a nessuno altro credere, ancora che tenuto animosissimo. Perché, dello animo nelle cose