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mettere in campagna uno buono esercito, come avevano i Romani, o che gli dissipi, spenga, disordini e disgiunga, in modo che non possano convenire a offenderti. Perché, se tu gl’impoverisci, «spoliatis arma supersunt»; se tu gli disarmi, «furor arma ministrat»; se tu ammazzi i capi, e gli altri segui d’ ingiuriare, rinascono i capi, come quelli della Idra, se tu fai le fortezze, le sono utili ne’ tempi di pace, perché ti dànno più animo a fare loro male ma ne’ tempi di guerra sono inutilissime, perché le sono assaltate dal nimico e da’ sudditi, né è possibile che le faccino resistenza ed all’uno ed all’altro. E se mai furono disutili, sono, ne’ tempi nostri, rispetto alle artiglierie; per il furore delle quali i luoghi piccoli e dove altri non si possa ritirare con gli ripari, è impossibile difendere, come di sopra discorremo.

Io voglio questa materia disputarla più tritamente. O tu, principe, vuoi con queste fortezze tenere in freno il popolo della tua città; o tu, principe, o republica, vuoi frenare una città occupata per guerra. Io mi voglio voltare al principe, e gli dico: che tale fortezza, per tenere in freno i suoi cittadini, non può essere più inutile per le cagioni dette di sopra; perché la ti fa più pronto e men rispettivo a oppressargli; e quella oppressione gli fa sì disposti alla tua rovina, e gli accende in modo, che quella fortezza, che ne è cagione, non ti può poi difendere. Tanto che un principe savio e buono, per mantenersi buono,