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Quid si poenam remittimus vobis, qualem nos pacem vobiscum habituros speremus?». A che quello rispose: «Si bonam dederitis, et fidelem et perpetuam, si malam, haud diuturnam». Donde la più savia parte del Senato, ancora che molti se ne alterassono, disse: «se audivisse vocem et liberi et viri; nec credi posse ullum populum, aut hominem, denique in ea conditione cuius eum poeniteat diutius quam necesse sit, mansurum. Ibi pacem esse fidam, ubi voluntarii pacati sint, neque eo loco ubi servitutem esse velint, fidem sperandam esse». Ed in su queste parole, deliberarono che i Privernati fossero cittadini romani, e de’ privilegi della civilità gli onorarono, dicendo: «eos demum qui nihil praeterquam de libertate cogitant, dignos esse, qui Romani fiant». Tanto piacque agli animi generosi questa vera e generosa risposta; perché ogni altra risposta sarebbe stata bugiarda e vile. E coloro che credono degli uomini altrimenti, massime di quegli che sono usi o a essere o a parere loro essere liberi, se ne ingannono; e sotto questo inganno pigliano partiti non buoni per sé, e da non satisfare a loro. Di che nascano le spesse ribellioni, e le rovine degli stati. Ma per tornare al discorso nostro, conchiudo, e per questo e per quel giudizio dato de’ Latini: quando si ha a giudicare cittadi potenti e che sono use a vivere libere, conviene o spegnerle o carezzarle; altrimenti, ogni giudizio è vano. E debbesi fuggire al tutto la via del mezzo, la quale è dannosa, come la fu ai Sanniti