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stabile e di migliore giudizio che un principe. E non sanza cagione si assomiglia la voce d’un popolo a quella di Dio: perché si vede una opinione universale fare effetti maravigliosi ne’ pronostichi suoi; talché pare che per occulta virtù ei prevegga il suo male ed il suo bene. Quanto al giudicare le cose, si vede radissime volte, quando egli ode duo concionanti che tendino in diverse parti, quando ei sono di equale virtù, che non pigli la opinione migliore, e che non sia capace di quella verità che egli ode. E se nelle cose gagliarde, o che paiano utili, come di sopra si dice, egli erra; molte volte erra ancora un principe nelle sue proprie passioni, le quali sono molte più che quelle de’ popoli. Vedesi ancora, nelle sue elezioni ai magistrati, fare, di lunga, migliore elezione che un principe, né mai si persuaderà a un popolo, che sia bene tirare alle degnità uno uomo infame e di corrotti costumi: il che facilmente e per mille vie si persuade a un principe. Vedesi uno popolo cominciare ad avere in orrore una cosa, e molti secoli stare in quella opinione: il che non si vede in un principe. E dell’una e dell’altra di queste due cose voglio mi basti per testimone il popolo romano: il quale in tante centinaia d’anni, in tante elezioni di Consoli e di Tribuni, non fece quattro elezioni di che quello si avesse a pentire. Ed ebbe, come ho detto, tanto in odio il nome regio, che nessuno obligo di alcuno suo cittadino, che tentasse quel nome, poté fargli fuggire le debite