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darebbe loro, in brevissimo tempo, preso o morto Annibale. Al Senato parve la domanda di costui temeraria; nondimeno, ei, pensando, che s’ella se gli negasse e nel popolo si fusse dipoi saputa la sua chiesta, che non ne nascesse qualche tumulto, invidia e mal grado contro all’ordine senatorio, gliene concessono: volendo più tosto mettere a pericolo tutti coloro che lo seguitassono, che fare surgere nuovi sdegni nel popolo; sapendo quanto simile partito fusse per essere accetto, e quanto fusse difficile il dissuaderlo. Andò, adunque, costui con una moltitudine inordinata ed incomposta a trovare Annibale; e non gli fu prima giunto all’incontro, che fu, con tutti quegli che lo seguitarono, rotto e morto.

In Grecia, nella città di Atene, non potette mai Nicia, uomo gravissimo e prudentissimo, persuadere a quel Popolo che non fusse bene andare a assaltare Sicilia; talché, presa quella diliberazione contro alla voglia de’ savi, ne seguì al tutto la rovina di Atene. Scipione, quando fu fatto consolo, e che desiderava la provincia di Africa, promettendo al tutto la rovina di Cartagine, a che non si accordando il Senato per la sentenzia di Fabio Massimo, minacciò di proporla nel Popolo, come quello che conosceva benissimo quanto simili diliberazioni piaccino a’ popoli.

Potrebbesi a questo proposito dare esempli della nostra città; come fu quando messere Ercole Bentivogli governatore delle genti fiorentine, insieme con Antonio Giacomini, poiché ebbono rotto Bartolommeo