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cui si dovrebbe confidare. E benchè questi modi in una Repubblica venuta alla corruzione siano cagione di grandi mali, e che molte volte piuttosto la viene alla tirannide, come intervenne a Roma di Cesare, che per forza si tolse quello che la ingratitudine gli negava; nondimeno in una Repubblica non corrotta, sono cagione di gran beni, e fanno che la ne vive libera più, mantenendosi per paura di punizione gli uomini migliori e meno ambiziosi. Vero è che infra tutti i Popoli che mai ebbero Imperio , per le cagioni di sopra discorse, Roma fu la meno ingrata. Perchè della sua ingratitudine si può dire che non ci sia altro esempio che quello di Scipione; perchè Coriolano e Camillo furono fatti esuli per ingiuria, che l’uno e l’altro aveva fatto alla Plebe. Ma all’uno non fu perdonato, per aversi sempre riserbato contro al Popolo l'animo nimico; l’altro non solamente fu richiamato, ma per tutto il tempo della sua vita adorato come Principe. Ma l’ingratitudine usata a Scipione nacque da un sospetto che i cittadini cominciarono avere di lui, che degli altri non si era avuto, il quale nacque dalla grandezza del nimico che Scipione aveva vinto, dalla riputazione che gli aveva data la vittoria di sì lunga e pericolosa guerra, dalla celerità di essa, dai favori che la gioventù, la prudenza, e le altre sue memorabili virtù gli acquistavano. Le quali cose furono tante, che, non che altro, i Magistrati di Roma temevano della sua autorità; la qual cosa spiaceva agli uomini savj, come cosa