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stato uno Imperio al suo Signore, superando i nimici, e riempiendo sè di gloria, e gli suoi soldati di ricchezze, di necessità e con i soldati suoi, e con i nimici, e con i sudditi proprj di quel Principe acquista tanta riputazione, che quella vittoria non può sapere di buono a quel Signore che lo ha mandato. E perchè la natura degli uomini è ambiziosa e sospettosa, e non sa porre modo a nissuna sua fortuna, è impossibile che quel sospetto, che subito nasce nel Principe dopo la vittoria di quel suo Capitano, non sia da quel medesimo accresciuto per qualche suo modo o termine usato insolentemente. Talchè il Principe non può pensare ad altro che assicurarsene; e per fare questo pensa o di farlo morire, o di torgli la riputazione, che egli si ha guadagnato nel suo esercito, e nei suoi Popoli, e con ogn’industria mostrare che quella vittoria è nata non per la virtù di quello, ma per fortuna, o per viltà dei nimici, o per prudenza degli altri Capitani che sono stati seco in tale fazione. Poi che Vespasiano sendo in Giudea fu dichiarato dal suo esercito Imperadore, Antonio Primo, che sì trovava con un altro esercito in Illiria, prese le parti sue, e ne venne in Italia contro a Vitellio, il quale regnava a Roma, e virtuosissimamente ruppe due eserciti Vitelliani, e occupò Roma: talchè Muziano mandato da Vespasiano, trovò, per la virtù d’Antonio, acquistato il tutto, e vinta ogni difficultà. Il premio che Antonio ne riportò, fu che Muziano gli tolse subito la ubbi-