quello che dicono questi scrittori della civiltà, che
i popoli mordono più fieramente poi ch’egli hanno
ricuperata la libertà, che poi che l’hanno conservata. Chi considererà adunque quanto è detto, non
biasimerà in questo Atene, nè lauderà Roma; ma
ne accuserà solo la necessità, per la diversità degli accidenti che in questa Città nacquero. Perchè
si vedrà, chi considererà le cose sottilmente, che
se a Roma fusse suta tolta la libertà come ad Atene, non sarebbe stata Roma più pia verso i suoi
cittadini, che sì fusse quella. Di che si può fare
verissima coniettura, per quello che occorse dopo
la cacciata de’ Re contro a Collatino ed a Publio
Valerio; de’ quali il primo, ancora che si trovasse
a liberare Roma, fu mandato in esilio non per altra cagione, che per tenere il nome de’ Tarquinj;
l’altro, avendo solo dato di sè sospetto per edificare una casa in sul monte Celio, fu ancora per
essere fatto esule. Talchè si può stimare, veduto
quanto Roma fu in questi due sospettosa e severa,
che ella arebbe usata l’ingratitudine come Atene,
se dai suoi cittadini, come quella ne’ primi tempi,
cd innanzi allo augumento suo, fusse stata ingiuriata. E per non avere a tornare più sopra questa
materia della ingratitudine, ne dirò quello ne occorrerà nel seguente capitolo.