Pagina:Discorsi sopra la Prima Deca di Tito Livio (1824).djvu/124

104 discorsi

rimesse nelle mani del nimico, il quale dipoi ne menò seco, lasciando un Governatore in quella città che rendesse ragione per la Chiesa. Fu notata dagli uomini prudenti che col Papa erano, la temerità del Papa, e la viltà di Giovanpagolo; nè potevano stimare d’onde si venisse, che quello non avesse con sua perpetua fama oppresso ad un tratto il nimico suo, e sè arricchito di preda, sendo con il Papa tutti li Cardinali con tutte le loro delizie. Nè si poteva credere che si fusse astenuto o per bontà, o per coscienza che lo ritenesse ; perchè in un petto d’un uomo facinoroso, che si teneva la sorella, ch’aveva morti i cugini, e i nipoti per regnare, non poteva scendere alcuno pietoso rispetto: ma si conchiuse, che gli uomini non sanno essere onorevolmente tristi, o perfettamente buoni; e come una tristizia ha in sè grandezza o è in alcuna parte generosa, eglino non vi sanno entrare. Così Giovanpagolo, il quale non stimava essere incesto, e pubblico parricida, non seppe, o a dir meglio, non ardì, avendone giusta occasione, fare una impresa, dove ciascuno avesse ammirato l’animo suo, e avesse di sè lasciato memoria eterna; sendo il primo che avesse dimostrato ai Prelati quanto sia da stimare poco chi vive e regna come loro, ed avesse fatto una cosa, la cui grandezza avesse superato ogni infamia, ogni pericolo che da quella potesse dipendere.