rimesse nelle mani del nimico, il quale dipoi ne
menò seco, lasciando un Governatore in quella
città che rendesse ragione per la Chiesa. Fu notata dagli uomini prudenti che col Papa erano, la
temerità del Papa, e la viltà di Giovanpagolo; nè
potevano stimare d’onde si venisse, che quello
non avesse con sua perpetua fama oppresso ad un
tratto il nimico suo, e sè arricchito di preda, sendo con il Papa tutti li Cardinali con tutte le loro
delizie. Nè si poteva credere che si fusse astenuto
o per bontà, o per coscienza che lo ritenesse ; perchè in un petto d’un uomo facinoroso, che si teneva la sorella, ch’aveva morti i cugini, e i nipoti per regnare, non poteva scendere alcuno pietoso rispetto: ma si conchiuse, che gli uomini non
sanno essere onorevolmente tristi, o perfettamente
buoni; e come una tristizia ha in sè grandezza o
è in alcuna parte generosa, eglino non vi sanno
entrare. Così Giovanpagolo, il quale non stimava
essere incesto, e pubblico parricida, non seppe,
o a dir meglio, non ardì, avendone giusta occasione, fare una impresa, dove ciascuno avesse ammirato l’animo suo, e avesse di sè lasciato memoria eterna; sendo il primo che avesse dimostrato
ai Prelati quanto sia da stimare poco chi vive e
regna come loro, ed avesse fatto una cosa, la cui
grandezza avesse superato ogni infamia, ogni pericolo che da quella potesse dipendere.