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tria comune; udiste com’essa sia per crescerne in ricchezza e in ogni maniera di commercio e d’industria; come la sua libertà e le morali sue prerogative ne siano guarentite, e come la sua indipendenza possa agevolmente conquistarsi e sodarsi.

Ed è questo un vero in cui io credo, e che noi stessi vedremo effettuarsi se in tutta la penisola la Confederazione italica otterrà quell’accoglienza che oggi incontra nella magnanima Torino. Né io di ciò posso dubitare. La luce del vero sforza gl’intelletti più ribelli e se vi è questione non è che questione di tempo. Le grandi idee sono destinate al trionfo. Le nazioni debbono restituirsi nel loro diritto naturale; è questo il lavoro più visibile del secolo nostro. Le idee varcano i secoli ed al giorno segnato trionfano. Un esule antico guidato dal genio fuggiva dalla sua città, maladetto da’ suoi, inviso alle fazioni stesse a cui si era alleato; egli teneva alta la fronte e non piegava ai colpi dell’avversa fortuna, egli portava nel cuore il desiderio dell’Italia indipendente e regina, di misera ed ancella ch’ell’era; ma non vedeva compiersi il suo vaticinio, e dal marmo di Ravenna dove reclinava il capo moribondo, consegnava il suo concetto alle generazioni vegnenti. E molte ne scorsero ora luminose ed ora dense di tenebre. E un altro esule partiva pure dalla sua città e passava le Alpi calunniato dalle sette, lacerato dagli uomini dei sinistri pensieri; quell’uomo era povero, quell’uomo non avea nome, la sua stella non era nota che a pochi i quali erano penetrati nel sacrario dell’animo suo. E nell’esilio, nelle contrade straniere che non gli ricordavano la materna se non per piangerne le sciagure, quest’uomo meditava, pensava, scriveva. E da quei pensieri, da quelle meditazioni, da quegli scritti usciva la parola redentrice, usciva la favilla che dovea vivificare l’Italia.... (prolungati applausi).

Io non ho pronunziato il suo nome, ma voi lo avete acclamato... (nuovi applausi). Ebbene quest’esule ritornava dopo lunghi anni alla patria sua, e questa patria non era

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