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diversificano e la origine e la lingua e i costumi e le inclinazioni e le istorie; altrettanti paesi, la più de’ quali, anziché comportare la soggezione all’Impero, studiano e si adoperano a racquistare per singolo l’autonomia; altrettanti paesi, i quali per antiche memorie, e per gelosie di vecchi privilegi e di nuovi, a vicenda bruciano di odj palesi, o segrete ruggini covano.
Vincolo nessuno di amore tra que’ paesi: ciascuno guarda a sé medesimo come individuo, senza badare che il suo bene non riesca a sciagura degli altri: tutti, o la più, rodono il freno che li costringe, e dispettano la mano che mostra loro lo scettro.
Di che consegue la indeclinabile necessità che l’Impetore, ove pure nol bramasse per rigidezza dell’animo, abbia a mantenersi per ragione di stato despota, assoluto, e tiranno.
Certo (a non parlare di tempi remoti) non vi è caduto della memoria come i Galliziani, tre anni addietro, sorgessero a rincontro dell’autorità imperiale: non vi è caduto della memoria come, al principio della nostra riscossa, volessero scappar di guinzaglio e Trento e Trieste e Zara e Ragusa; come, or fa pochi mesi, Praga rifiutasse chinare il capo se non di sotto alle bombe che la fulminavano: ed oggi medesimo gli Ungheri, non abbastanza impauriti delle orde guidate dal Bano, spodestano il Re che li inganna, e si governano a popolo.
Bene è vero che a cessar la tempesta l’Austriaco si faceva, nel marzo, promettitore di liberali riformagioni: ma nessuno potea dargli fede: e Vienna stessa, la reggia de’ Cesari, ad ogni tratto paventa che le concessioni del marzo non le siano ghermite, e il Monarca non si chiuda di nuovo nella clamide redata dal padre. —
Ora, appunto perché l’Austriaco mal saprebbe tenersi a dilungo sul trono quando non ribadisse a’ suoi sudditi i chiovi ed i ceppi, trovati già dal primo Francesco e cresimati nell’aula; troppo è chiaro, importargli assaissimo che i Principi italiani sì vicini alle terre Lombardo-Ve-