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Signori,



Questa grande associazione di popoli, di principi e di stati italiani, a cui da pochi giorni abbiam dato mano, e per la quale travagliano oggi spiriti generosi e ardenti, fu il frutto di una bella e brillante idea svegliatasi nella mente di alcuni nostri fratelli, e che apparve loro come l’unico raggio di speranza in mezzo alle dure calamità della patria. Questa prima sublime idea, ancora vergine d’ogni applicazione, fu presentata a quel grande filosofo, che nella storia del nostro politico rivolgimento e delle nostre patrie sventure occupa la più ampia pagina, e la migliore. E’ la raccolse, la coltivò, la ingigantì colla robusta sua mente, le infuse quel vigore e quella vita pratica, che la fanno oggi sentire universalmente applicabile, e verissima in atto. Ma questo svolgimento e questo ingrandimento furono rapidissimi, imponenti, talchè dopo qualche dì, chi avea pel primo generato quel concetto, quasi nol riconosceva più per la sua creatura; tanto s’era disteso e cresciuto nelle proporzioni e nelle forme. E per vero, se noi guardiamo ai primissimi passi del Comitato iniziatore, e ne facciamo confronto con i rapidi avanzamenti fatti subito appresso dal Comitato centrale in cui quel primo si tramutò stabilmente, certo la differenza è tanta, che quasi dir non sapremmo. Se non che la celerità di un tale progresso non è attribuibile tanto al fecondamento della grande idea

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