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ridurre al peggio la nazionalità propria, ognun dee concedere che senza il loro concorso e quello del parlamento la rinunzia del Regno italico sarebbe illegale ed iniqua. O si dirà che i ministri possono farle condizionatamente? Cioè riservando ai rappresentanti della nazione il ratificarla o no a loro talento? Ma tal riserva sarebbe illusoria; quando variati i tempi, e mutate le circostanze, può darsi che l’elezione divenga impossibile o almeno difficilissima. E in tal caso il parlamento potrà dire ai ministri: «Voi avete trapassato il vostro potere, e usurpato il mio, poichè voi foste liberi nel patteggiare e io più nol sono per rompere i vostri patti. Quando voi entraste al maneggio degli affari era agevole il rifar l’esercito e il ripigliare ben tosto la guerra; ora questo è divenuto stranamente difficile e forse impossibile per l’avvicinarsi del verno, e dopo il letargo e il dispendio di parecchi mesi. Allora la Francia era impegnata a sussidiarci colle sue armi: ora voi l’avete sciolta da questo impegno, accettando una mediazione ordita in termini lesivi dell’unione contratta. Voi dunque ci riservate in apparenza la balìa di decidere; in sostanza l’avete preoccupata; e per compiere l’usurpazione, e rendere più impossibile il rimedio, ci aggiugneste la proroga delle tornate parlamentari. Perciò, non che essere in grado di giustificarvi per aver rotta l’unione giurata e solenne, voi aggiungeste a questa un’altra colpa che non è punto minore; cioè quella di violentare il parlamento, costringendolo a sancire l’atto vituperoso ed iniquo con cui violaste i diritti, offendeste gl’interessi e macchiaste il nome della nazione».

Ma ciò sia detto per mero presupposto; giacchè farebbe torto ai nostri ministri chi dopo le loro proteste li giudicasse capaci di tal eccesso; tanto più che alle ragioni sovrane del giusto e dell’onesto si aggiungono quelle dell’utilità pubblica. Quel gran vero che l’utile non si scompagna dall’onesto non apparve mai così chiaro come al dì d’oggi; e senza cercare esempi dalla lunga, ce ne porgono una prova i fatti che abbiam per le mani. La me-