Nè fie giammai che ’n precipizi bassi
Si veggan traboccar per crolli fieri.
Ch’egli lor regge la tremante mano
E gli rinfranca d’un valor sovrano. 10 Da fanciullo ed infin a la vecchiezza
Unque non vidi il giusto abbandonato:
Nè ’l seme suo ridutto a la strettezza
Di chieder che gli fosse il pan donato.
Anzi tuttor prestar e far larghezza,
E ’l suo legnaggio sempre più beato.
Fa pur il bene e ti ritrai dal male,
E, sicur, goderai vita immortale. 11 Perch’al Signor è cara la drittura:
Nè lascerà de’ suo’ fedeli e santi,
Gementi a lui, la vigilante cura.
Anzi, in perpetuo, agli occhi suo’ davanti,
Difesi gli terrà d’ogni sciagura.
La schiatta estirperà degli empi erranti:
Ma fien del mondo, in tutti i suo’ confini,
I giusti eredi eterni e cittadini. 12 De la bocca del giusto unque altra cosa,
Che giustizia e saver, uscir non s’ode.
Di Dio la Legge nel suo cor riposa:
Per ciò non crolleran sue piante sode.
L’empio lo spia, per dargli morte ascosa:
Ma Dio schermo gli fa di sforzo e frode.
N’a l’ingiusto poter il freno allenta,
Quando a giudizio umano si presenta. 13 Dio dunque aspetta e al suo sentier t’attieni,
Ch’eccelso ti farà signor del mondo,
Per di quello goder i dolci beni,
E’ malvagi vedrai cader a fondo.
L’empio vidi fiorir d’onor terreni,
Qual verde lauro trionfando a tondo.
Ma passò ratto e più qua giù non fue,
E ’ndarno fu ’l cercar le tracce sue.