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salmo xxxvii. 67

     Nè fie giammai che ’n precipizi bassi
     Si veggan traboccar per crolli fieri.
     Ch’egli lor regge la tremante mano
     E gli rinfranca d’un valor sovrano.
10          Da fanciullo ed infin a la vecchiezza
     Unque non vidi il giusto abbandonato:
     Nè ’l seme suo ridutto a la strettezza
     Di chieder che gli fosse il pan donato.
     Anzi tuttor prestar e far larghezza,
     E ’l suo legnaggio sempre più beato.
     Fa pur il bene e ti ritrai dal male,
     E, sicur, goderai vita immortale.
11          Perch’al Signor è cara la drittura:
     Nè lascerà de’ suo’ fedeli e santi,
     Gementi a lui, la vigilante cura.
     Anzi, in perpetuo, agli occhi suo’ davanti,
     Difesi gli terrà d’ogni sciagura.
     La schiatta estirperà degli empi erranti:
     Ma fien del mondo, in tutti i suo’ confini,
     I giusti eredi eterni e cittadini.
12          De la bocca del giusto unque altra cosa,
     Che giustizia e saver, uscir non s’ode.
     Di Dio la Legge nel suo cor riposa:
     Per ciò non crolleran sue piante sode.
     L’empio lo spia, per dargli morte ascosa:
     Ma Dio schermo gli fa di sforzo e frode.
     N’a l’ingiusto poter il freno allenta,
     Quando a giudizio umano si presenta.
13          Dio dunque aspetta e al suo sentier t’attieni,
     Ch’eccelso ti farà signor del mondo,
     Per di quello goder i dolci beni,
     E’ malvagi vedrai cader a fondo.
     L’empio vidi fiorir d’onor terreni,
     Qual verde lauro trionfando a tondo.
     Ma passò ratto e più qua giù non fue,
     E ’ndarno fu ’l cercar le tracce sue.