5 Ma dal Signore, con amari scherni,
Ribattute saran le fiere imprese:
Che dal solio del ciel quegli occhi eterni
Il fin d’esso venir veggon palese.
Del giusto afflitto a far aspri governi,
Trasse l’empio la spada e l’arco tese.
Ma gli aprirà quel suo coltello il petto,
E l’arco gli sarà rotto di netto. 6 Del giusto il poco senza fin più vale,
Che d’empi molti e grandi l’abondanza:
Però ch’a lor sarà, qual testo frale,
Fiaccato il braccio e rotta la possanza.
Ma s’alcun il fedel periglio assale,
L’erge il Signor e gli presta baldanza.
De’ buon la vita e’ tien nel suo governo
Ed un retaggio goderanno eterno. 7 Confusi non saran ne’ tempi avversi,
Nè scaderan di lor concetta spene:
E ne’ dogliosi fien tempi diversi
De la fame, cibati a voglie piene.
Ma gli empi periran e fien dispersi,
Ingombrati di doglie e varie pene:
E del Signor verran meno i ribelli,
Qual strutto in fumo va grasso d’agnelli. 8 L’empio in prestanza ingordamente chiede:
La miseria però non l’abbandona,
Sì che disciolga l’obbligata fede.
Ma l’uom giusto tuttor dispensa e dona:
Che ’l benedetto seme in fin possiede
La terra, onde ’l Signor il guiderdona.
Ma l’infedele maladetta schiera
Convien di certo ch’abissata pera. 9 Il Signor di color sostenta i passi,
Le cui giuste gradisce opre e pensieri.
E, se pur caggion, vacillanti e lassi
Gli accoglie in braccio e gli conserva intieri.