De’ tuo’ fedeli, ove abitar ti godi
E v’è solenne di lodarti usanza. 8 Non far contenti e lieti
Di me color ch’a torto in odio m’hanno:
Nè con moti faceti
Lascia innasprir l’ingiuria che mi fanno.
Però che schivan ragionar di pace:
E ’l lor pensier fallace
Contra l’alme quiete ognora trama
Perfidie e ’nganni nuovi.
Ora fie sboccan; che l’accesa brama
Del nostro core rimirar ne giovi 9 Ciò t’è palese e noto,
Caro Signor, or tua mercè non reste,
Nè star da me remoto.
Per ragion farmi omai le luci deste
Ver me dischiudi, o Signor, e Dio mio:
N’affondar in oblio
Mia purità, ch’a ponderar rimetto
A la tua lance uguale.
Nè lasciar che di me giuoco e diletto
Prenda ’l nimico, che m’infesta e assale. 10 Nè che s’alletti o sprone
A darmi, acceso di speranze vane,
Nuova crudel tenzone.
E non dica: L’abbiam pur, come pane,
A pezzi divorato ed inghiottito.
Confuso sie e smarrito,
Qualunque del mio mal gode o festeggia.
Sie di vergogna avvolto
Chi, trionfando sopra me, vaneggia:
E ’nfamia e disonor gli adombri il volto. 11 Ma sciolti in gioia chiara
Sien color, che la mia giusta equitade
Pregian ed hanno cara,
E congiunti mi son d’alma amistade.