6 Ora di me, Signor, non star lontano,
Che l’angoscia è vicina:
Nè v’è chi per salvarmi erga la mano:
E, con rabbia ferina,
D’ogn’intorno mi son grandi e possenti
Di Basan tori, ad assalirmi ardenti. 7 Qual rapace leon apron lor gola,
Contra me fiacco e frale.
E ’n me, come acqua, si distempra e scola
Tutto l’umor vitale.
E, per la grave e dolorosa arsura,
De l’ossa si scommette ogni giuntura. 8 Dentro, qual cera, il mio dolente core
Si strugge a poco a poco.
Spasima asciutto il bel natio vigore,
Come arso testo al foco.
S’attien la lingua a l’arido palato.
Tu ne l’avello m’hai cupo affondato. 9 Un stuol m’accerchia d’abbaianti cani,
Folta gente maligna:
E, con chiodi confitti e piedi e mani,
Mi fer piaga sanguigna.
L’ossa posso contar spuntanti e scarne:
Essi stanno a mirar senza curarne. 10 Hanno fra lor la mia spoglia divisa.
E, per l’intera veste,
La gara ingorda a sorte hanno decisa.
Or, tua mercè non reste
Lunge da me: tu, che se’ mia virtute,
I passi muovi ratto a mia salute. 11 E, l’alma mia riscoti dal coltello:
La soletta e diserta
Del can rabbioso da l’artiglio fello.
E da la foce aperta
Del fier leone, che mi rugge attorno,
Mi salva, e dagli assalti del liocorno.