E che per balzi isnello poggio e varco,
U’ ferma il piè ne l’erta mia fortezza.
Esso m’addestra a le battaglie, e d’arco
D’accial col braccio spezzo la durezza.
M’è scudo di salute e d’ogni incarco
M’alleggia, e con la man m’erge e sostiene:
E sua bontà mi colma ognor di bene. 13 Tu mi distrighi e sotto allarghi i passi,
Nè stanco vacillar sento ’l tallone.
I’ do la caccia a’ miei nemici lassi:
Gli aggiungo, nè a raccolta avvien che suone,
Che rotti infin e morti non gli lassi.
Sì gli conquisi a la final tenzone,
Ch’atterrati mi son a piè caduti,
Nè rilevar unque si son potuti. 14 Però ch’al guerreggiar mi cingi il lato
D’alto valor e di prodezza invitta.
Per te lo stuolo che m’assal prostrato,
Sotto me piega la sua possa afflitta.
Tu de’ nemici m’hai la coppa dato
A ferir sì, che l’oste n’ho sconfitta.
Ansiosi gridar, nè scampo venne:
Anch’al Signor, ma nulla il grido ottenne. 15 Parte qual polve, fin a’ stremi liti
Del mondo gli ho dispersi: e parte, in guisa
Del fango per le vie, calcati e triti.
Dal fremente furor de la divisa
Turba mi salvi e sediziose liti.
Per te la mia persona, in capo assisa
De le genti, le men note corregge,
Sì che da’ cenni miei prendon la legge. 16 Con infinti sembianti e corta fede,
Domi da me, gli strani s’arrendero.
Il lor disciolto cor spavento fiede,
Fin entro ’l lor ripar e chiostro altero.
Viva ’l Signor, la Rocca, ove risiede