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salmo xviii. 27

3          Di grave ambascia ingombro ed assalito,
     In quel punto il Signor, tremante, invoco.
     Al palazzo sovran salì spedito
     De l’angoscioso grido il suono roco,
     Che fu da Dio pietosamente udito.
     E, perchè gli avvampò de l’ira il foco,
     Fu de la terra il vasto pondo smosso,
     E crollato de’ monti il fondo e scosso.
4          Gli uscian di fumo folte nubi ondose
     Da le nari, spiranti accesi sdegni,
     E da la bocca fiamme tempestose,
     E di brace roventi i fiati pregni:
     Quindi, calcando ombre caliginose,
     Calò da’ palchi de’ celesti regni,
     E trasse ratto al terren basso suolo,
     Da venti e Cherubin portato a volo.
5          Di nera notte e di profondo orrore
     Adombrava il seren del divin volto:
     D’aer condenso e d’acque atro vapore
     L’avea intra sè di tenda in guisa, accolto.
     Infin, al sfavillar d’aureo splendore,
     Fu di fumi e caligo il groppo sciolto.
     Gragnuole crepitar, cadder carboni,
     L’alto ciel rimbombò di scoppi e tuoni.
6          Diede fuori il Sovran gridi sonori,
     Innanzi a sè tempesta e fuochi spinse:
     De’ suoi strali avventò gli alti fragori,
     Color sconfisse e fulminando estinse.
     Fur sì del minacciar gravi i terrori,
     E del soffiar, ch’a dileguarsi astrinse
     L’acque e a scoprir de’ cupi gorghi il fondo,
     E l’ime basi u’ più s’interna il mondo.
7          Dal ciel mi porse aiutatrice mano,
     Mi prese e fuor di ciechi abissi trasse.
     Del più forte di me nemico insano
     A l’ire ed odi salvo mi sottrasse.
     Mi fur incontro al dì funesto e strano: