Del dritto in man l’immota norma tieni,
Sagace provator di cori e reni.
Del mio schermo lo scudo è ’l sol Signore,
Che salva e guarda ognun puro di core. 7 Largo egli è di mercede,
A chi del giust’oprar calca il sentiero.
Nè meno in cor gli siede
Contr’al rubello ognor sdegno severo.
Se ’l nemico non vuol mutar pensiero,
Trarrà dal fodro il folgorante brando,
E l’arco teso in man terrà mirando. 8 Già strigne l’alta mano
L’armi, ch’incontro la caterva fella
Unque non scote in vano.
E dal ciel scoccherà folta procella
De l’infocate sue aspre quadrella.
E’ petti ad oltraggiar di rabbia caldi
Farà ’l bersaglio de’ suoi colpi saldi. 9 Nel far scoppiare i parti
D’iniquitade, ecco ’l nemico stenta:
E con inganni ed arti,
Sfogar la conceputa ingiuria tenta.
Pur andrà vana l’opra al falso intenta.
Una fossa cavò per altri cupa,
Egli stesso a la fin vi si dirupa. 10 Così, il travaglio rio
E lo sforzo, col qual i buoni infesta,
Cader, per giusto fio,
Vedrassi addosso, ed ingombrar la testa.
Al gran Signor sciorrò la lingua presta,
L’alto Nome facendo, in salmi e canti,
Chiaro, di sua giustizia al par de’ vanti.