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salmo cxliv. 271

     Largo ei m’è di mercè, per iscamparmi,
     Come in erto ripar, d’ogni periglio.
     M’è saldo scudo e ’n lui m’affido e spero,
     Che sopra ’l popol mio mi diè l’impero.
2          Che cosa è pur l’umana creatura,
     Re del ciel glorioso ed immortale,
     Perchè tua Maestà ne prenda cura?
     Come al tuo proveder cotanto cale
     De la vil d’uomo e bassa genitura?
     A sogno, a fumo, a vanitade uguale,
     Ratto i suo’ giorni fuggitivi passa,
     E qual ombra di sè traccia non lassa.
3          Signor, cala del ciel i palchi alteri,
     E nel terreno suol discendi in fretta:
     Fa che de’ monti salgan fumi neri,
     Tocchi dal fulminar di tua saetta.
     Folgore vibra rapido e leggieri
     Che la schiera rubella in rotta metta.
     E l’infocate tue quadrella avventa,
     Color fracassa, dissipa e spaventa.
4          D’alto mi porgi aiutatrice mano,
     Da’ gorghi de l’ostil piena mi scampa:
     Nè lasciarmi in poter de l’inumano
     Stuolo, che di furor barbaro avvampa.
     Nel cui parlar insidioso e vano,
     Non è di veritade orma, nè stampa:
     E la cui destra, in disleali modi,
     Altro non tesse mai ch’inganni e frodi.
5          I’ ti vo’ dedicar canzon novella,
     E salmeggiar di tue virtuti i pregi
     Su l’arpicordo e su la cetra bella.
     Tu, che circondi di salvezza i regi,
     E ’l servo tuo David da spada fella
     Spesso campasti già con fatti egregi;
     Da la gente or mi salva empia e straniera,
     Falsa di man, di bocca lusinghiera.