Largo ei m’è di mercè, per iscamparmi,
Come in erto ripar, d’ogni periglio.
M’è saldo scudo e ’n lui m’affido e spero,
Che sopra ’l popol mio mi diè l’impero. 2 Che cosa è pur l’umana creatura,
Re del ciel glorioso ed immortale,
Perchè tua Maestà ne prenda cura?
Come al tuo proveder cotanto cale
De la vil d’uomo e bassa genitura?
A sogno, a fumo, a vanitade uguale,
Ratto i suo’ giorni fuggitivi passa,
E qual ombra di sè traccia non lassa. 3 Signor, cala del ciel i palchi alteri,
E nel terreno suol discendi in fretta:
Fa che de’ monti salgan fumi neri,
Tocchi dal fulminar di tua saetta.
Folgore vibra rapido e leggieri
Che la schiera rubella in rotta metta.
E l’infocate tue quadrella avventa,
Color fracassa, dissipa e spaventa. 4 D’alto mi porgi aiutatrice mano,
Da’ gorghi de l’ostil piena mi scampa:
Nè lasciarmi in poter de l’inumano
Stuolo, che di furor barbaro avvampa.
Nel cui parlar insidioso e vano,
Non è di veritade orma, nè stampa:
E la cui destra, in disleali modi,
Altro non tesse mai ch’inganni e frodi. 5 I’ ti vo’ dedicar canzon novella,
E salmeggiar di tue virtuti i pregi
Su l’arpicordo e su la cetra bella.
Tu, che circondi di salvezza i regi,
E ’l servo tuo David da spada fella
Spesso campasti già con fatti egregi;
Da la gente or mi salva empia e straniera,
Falsa di man, di bocca lusinghiera.