Che non può Dio lasciar il suo legnaggio,
Nè ’l proprio abbandonar caro retaggio. 8 Anzi, i tempi felici
Torneran che giustizia in trono segga,
E del mondo al governo alma provegga.
Allor i cori amici
Di virtute, al gran Rege attorno attorno
Aggreggiati faran bel cerchio adorno. 9 Or da chi, per mio scampo,
Fie con l’iniquo stuol la pugna presa?
Incontro a’ malfattori a mia difesa
Chi metterassi in campo?
Già se ’l Signor non mi porgeva aita,
Sarei sotterra senza voce e vita. 10 Quando, smarrito, dissi,
Ohimè, che ’l piè mi sfugge vacillante!
La tua bontà mi raffermò le piante.
Quando i pensieri, fissi
A le mie doglie, il petto m’accoraro,
I tuo’ conforti quello ricrearo. 11 Qual convenenza o patto
Evvi fra te, Signor, e ’l seggio iniquo,
Che ’n giudicar la legge torce obliquo
In favor del misfatto?
S’aduna il lor collegio a pieni scanni,
Perch’a la morte l’innocente danni. 12 Ma pur, alto rifugio
Emmi il Signor: la destra e la virtute
Del mio Dio m’è riparo di salute.
Esso i rei, senz’indugio,
Ingombrerà di lor colpe e peccati:
E fien per quelli estinti e sterminati.