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salmo xciv. 183

     Tu che, col giudicar, temperi il mondo,
     Rendi a’ fellon di giusto merto ’l pondo.
2          Signor, infin a quando
     Da la tua lenta pazienza umana
     Gli empi cagion prendran di gioia insana,
     Protervi, trionfando?
     E i scellerati dispettose voci
     E vanti alteri sgorgheran feroci?
3          Di tua gradita gente
     Questi tiranni fan strazio crudele.
     Di te, Signor l’eredità fedele
     Per lor geme languente.
     Vedove oppresse e forestieri uccisi,
     E morti sono gli orfani e conquisi.
4          A bestemmiar son osi,
     Che lo Dio di Iacob null’ode o vede,
     E che nel cielo nighittoso siede.
     O pazzi e furiosi,
     Vie più ch’altra non fu vil turba mai:
     Saggi, e fie tardi, divenite omai.
5          Quel che l’orecchia inserta
     Have ne l’uom e l’occhio divisato,
     Saravvi sordo, cieco ed insensato?
     Quel che con norma certa
     Le genti affrena, e a l’uom infonde il senno,
     Non fie che vi castighi ad un sol cenno?
6          Il Signor ha contezza
     Di quanto l’uom nel cor volge sagace,
     Ch’altro non è che vanità fallace.
     Beata l’alma avvezza
     A tua santa paterna disciplina,
     Cui di tua legge insegni la dottrina.
7          Perchè ’n queto riposo
     La stagion varchi travagliosa e dura:
     Mentre è cavata in giù la tomba scura,
     A l’empio prosperoso.