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varcavano la curva dell’orizzonte. Si sentiva l’attesa. In un brusìo di voci tranquille le voci argentine dei fanciulli dominavano liberamente nell’aria. La città riposava del suo faticoso fervore. Era una vigilia di festa: la Vigilia di Natale. Sentivo che tutto posava: ricordi speranze anch’io li abbandonavo all’orizzonte curvo laggiù: e l’orizzonte mi sembrava volerli cullare coi riflessi frangiati delle sue nuvole mobili all’infinito. Ero libero, ero solo. Nella giocondità dello Scirocco mi beavo dei suoi soffi tenui. Vedevo la nebulosità invernale che fuggiva davanti a lui: le nuvole che si riflettevano laggiù sul lastrico chiazzato in riflessi argentei su la fugace chiarità perlacea dei visi femminili trionfanti negli occhi dolci e cupi: sotto lo scorcio dei portici seguivo le vaghe creature rasenti dai pennacchi melodiosi, sentivo il passo melodioso, smorzato nella cadenza lieve ed uguale: poi guardavo le torri rosse dalle travi nere, dalle balaustrate aperte che vegliavano deserte sull’infinito.

Era la Vigilia di Natale.