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In un ampio stanzone pulverulento turbinavano i rifiuti della società. Io dopo due mesi di cella ansioso di rivedere degli esseri umani ero rigettato come da onde ostili. Camminavano velocemente come pazzi, ciascuno assorto in ció che formava l’unico senso della sua vita: la sua colpa. Dei frati grigi dal volto sereno, troppo sereno, assisi: vigilavano. In un angolo una testa spasmodica, una barba rossastra, un viso emaciato disfatto, coi segni di una lotta terribile e vana. Era il russo, violinista e pittore. Curvo sull’orlo della stufa scriveva febbrilmente.
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«Un uomo in una notte di dicembre, solo nella sua casa, sente il terrore della sua solitudine. Pensa che fuori degli uomini forse muoiono di freddo: ed esce per salvarli. Al mattino quando ritorna, solo, trova sulla sua porta una donna, morta assiderata. E si uccide». Parlava: quando, mentre mi fissava cogli occhi spaventati e vuoti, io cercando in fondo degli occhi grigio-opachi uno sguardo, uno sguardo mi parve di distinguere, che li riem-