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Entrai nell’Assemblea con opinioni sì fredde, se questa parola è lecita, con idee sì temperate, che, sia detto per la verità, ne divenni alquanto impopolare. Senza tregua io combatteva ogni misura eccessiva o inconsiderata; sempre io parlava di cose calcolate e positive. Io, solo, osai condannare la seconda guerra che il Piemonte da sè, e all’insaputa di Roma, dichiarava con imperdonabile frivolezza all’Austria. Milanese, io annunciai che l’esercito regio non sarebbe entrato in Milano. I profeti di sventura non vengono in onore se non dopo i disastri. Così fu di me; la mia voce cominciò ad essere ascoltata solo dopo lo scompiglio di Novara.

Ma eccoci alla spedizione francese.

Se vi dico che l’annuncio di questa spedizione parve a me una buona nuova, voi forse non mi credete. Ma io citerò il Monitore Romano. Dapprima insistetti perchè si redigesse una protesta calma, degna e temperata. «Dev’essere, io diceva, un atto da notaro, non da poeta, come pur troppo sogliono gl’Italiani.» (Monitore Romano, 24 aprile). Io stesso dettai la protesta, e fu trovata irreprensibile. Poi, mentre l’Assemblea poneva sotto accusa le autorità di Civitavecchia, io osservai, quanto a me, sembrarmi utile che lo sbarco fosse avvenuto senz’opposizione; perocchè se l’assemblea francese non aveva consentito l’occupazione di Roma, avea però votato l’approdo a Civitavecchia. Or ecco quanto io diceva sulla spedizione: «Vi dirò un’altra cosa: tutti i nobili, tutti i preti, tutti i frati, tutti gli Albertisti e Giobertisti hanno sempre odiato l’influenza francese in Italia. Questo mi consola; ma non è che una riserva, giacchè nulla io posso sperare dal

Difesa di Cern. *