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gionieri come irresponsabili strumenti della tirannide. Salvammo persino gl’inquisitori di S. M. Apostolica, persino le spie, che aveano acquistato fama europea riempiendo lo Spielberg. A questo proposito, ecco due parole di un Proclama sotto il quale si leggeva la mia firma.
«Prodi cittadini! Conserviamo pura la nostra vittoria. Non discendiamo a vendicarci nel sangue di quei miserabili satelliti, che il potere fuggitivo lasciò nelle nostre mani. È vero che per trent’anni furono il flagello delle nostre famiglie. Ma voi siate generosi, come siete prodi.»
A me, saccheggiatore di Roma; a me, devastatore di ambascerie, il popolo combattente recava, senza ricevuta e senza diffidenza, gli oggetti preziosi che il nemico abbandonava. — Il Consiglio di Guerra si conservò la sola spada di Radetzky. — Noi la serbiamo ancora.
La notizia della nostra vittoria decise Carlo Alberto ad occupare le provincie liberate. Al suo arrivo, la sua setta riebbe il sopravvento; noi rassegnammo il potere. Il Consiglio di Guerra prevedeva l’esito infelice della campagna. Nel mio giornale, denunciavasi come funesto il pensiero di guerreggiar da solo, di far da sè. I miei articoli additavano incessantemente gli spregiati interessi di Pio IX e del re Ferdinando; perocchè coll’assunto programma, programma tanto raccomandato dalla Francia costituzionale, guidata da Guizot e da Thiers, cioè la concordia dei Principi italiani, si cadea in enorme contraddizione col favorire un principe solo. Laonde io predissi lo scioglimento; e pur troppo ebbi ragione; ciò che non succede facilmente, agli utopisti, ai demagoghi, agli