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eravamo al servigio dell’insurrezione Parigina, che non eravamo la retroguardia d’un partito qual si fosse. Qui non siamo, l’ho detto sovente, nè socialisti, nè comunisti, nè montagnardi: noi siamo Italiani e siamo repubblicani: dacchè oramai non avvi altra via d’esser nazionali in Italia! Dopo gli ultimi fatti dell’assedio sopravvenuti quest’oggi la resistenza non ha più scopo. Non ci resta più altro che coprirci il volto come Cesare. — Vengano e ci finiscano. — (Vedi anzi i fogli dei Stenografi)».

Signori giudici, l’accusa ebbe sette mesi per raccoglier prove contro di me. Io ebbi ventiquattro ore; e pure mi rimasi con le braccia al petto; nè tempo, nè bisogno io aveva di rintracciare testimoni a scarico. Rendo giustizia ai molti testimoni comparsi per citazione dell’accusa; ebbero l’accento della verità. E poi le loro deposizioni che ascoltaste, corrispondono agl’interrogatori che ieri ci lesse l’attuario.

Soltanto desidero di notare la deposizione del sig. vice-direttore dell’Accademia Francese, sul proposito dell’imputazione che mi fu fatta d’aver depredato quello stabilimento. Egli disse, che mi riputava uomo talmente pericoloso, che in coscienza ei si credette in dovere di avvertire il signor Corcelles d’avermi veduto, in pieno giorno, il 5 luglio, partire da Roma, in calesse scoperto col signor Bonaparte. Il signor Corcelles ringraziandolo, ne ragguagliò immantinenti il generale Oudinot, il quale comandò il mio arresto. Ebbene, infine, che cosa depose questo signore? Egli provò anzi; che, al pari del palazzo Farnese, l’Accademia francese non fu depredata nè da me, nè da nessuno. Egli provò che la sola volta che io mi recai a quello stabilimento, i miei modi in presenza del